Basilica Romana di Brescia
Prima e dopo la Basilica romana
Scavi archeologici in piazza Labus a Brescia
Nel 1992 il Ministero peri Beni e le Attività Culturali ha acquisito il palazzo al civico 3 di piazzetta Labus, destinato ad ospitare gli uffici della Soprintendenza per i Beni Archeologici.
È stato così avviato un intervento di recupero e ristrutturazione dell’immobile che prevedeva indagini archeologiche sistematiche su tutta l’area oggetto dei lavori. Gli scavi, effettuati in varie campagne dal 1993 al 1998, hanno messo in luce, sotto una complessa stratificazione medievale e rinascimentale, le strutture relative alla Basilica di età flavia. Solo in limitatissimi settori è stato possibile effettuare sondaggi sotto le quote romane e questo spiega la scarsità di dati sulle fasi pre e protostoriche.
I risultati delle indagini hanno suggerito l’opportunità di lasciare a vista le strutture antiche creando all’interno della sede un piccolo spazio museale fruibile ai visitatori. L’esposizione dei materiali rinvenuti nel corso degli scavi, in particolare di quelli relativi alle vicende precedenti e seguenti l’impianto della Basilica, è di seguito descritta .
La ricca sequenza insediativa emersa dagli scavi, assai simile a quella di altri siti nel centro storico, consente di ripercorrere circa 3500 anni di storia.
Un insediamento dell’età del Bronzo (XV-XIII secolo a.C.)
La prima occupazione nell’area su cui sorgerà poi la città storica risale, per quanto noto finora, alla media (XVI-XIV secolo a.C.) e alla tarda età del Bronzo (XIII secolo a.C.). Tale fase è documentata nelle aree del Castello, del Broletto, del Convento Santa Chiara, a San Lorenzo e nell’area della parte più antica del centro storico: Collegio Arici, Capitolium, Santa Giulia, via Trieste e via Gallo. Anche dallo scavo dei depositi archeologici posti sui livelli di sterile provengono numerosi frammenti di contenitori in ceramica modellati a mano relativi a quest’epoca.
L’area di indagine, limitata ad un settore di pavimenti romani asportati, non ha consentito di precisare la tipologia dei contesti insediativi rinvenuti. Tuttavia, sulla base dell’analogia con altri contesti territoriali, si può ipotizzare la presenza di un abitato sorto in corrispondenza dell’attuale centro storico della città. Si trattava di un villaggio con abitazioni sorrette da pali lignei e pareti realizzate con la tecnica dell’incannucciato. I materiali rinvenuti si inquadrano nell’ambito della cultura palafitticola-terramaricola, diffusasi nella pianura centro-orientale dell’Italia settentrionale tra XV e XIII secolo a.C. Sono contenitori per uso domestico di medie e grandi dimensioni, in impasto grossolano. II ritrovamento di alcune lame di selce potrebbe indicare una sporadica frequentazione dell’area anche in età più antica.
Un villaggio di capanne della prima età del Ferro (IX-VII secolo a.C.)
Nel sondaggio effettuato sotto i piani pavimentali romani sono stati messi in luce dei livelli che testimoniano la continuità insediativa nell’età del Ferro. In particolare sottili depositi con lenti di carbone associati a materiale concotto, a buche di palo e a frammenti di vaso attestano la presenza nel sito di capanne con pavimento in argilla battuta, perimetrali in pali e alzati in ramaglie intrecciate rivestite in argilla. I frammenti ceramici rinvenuti in piazza Labus si riferiscono a contenitori di uso domestico, in ceramica grossolana.
L’abitato sembra concentrarsi in questo periodo nell’area nord-orientale del centro storico, nel Castello, a Santa Giulia e a Palazzo Martinengo Cesaresco.
L’abitato di V secolo a.C.
Il sondaggio di piazza Labus, come altri scavi circostanti, ha messo in luce tracce significative di un abitato in posizione strategica nella pianura padana e divenuto, nel V secolo a.C, sede di scambi commerciali. In esso confluivano prodotti greci ed etruschi destinati ai mercati locali e al centro Europa e materie prime provenienti dalle regioni a nord delle Alpi.
L’abitato, sede di popolazioni di tradizione celtica, era frequentato da mercanti etruschi che commerciavano vino, olio, profumi, vasellame in bronzo e ceramiche greche. Una fertile miscela di diversi linguaggi culturali, attestata dai numerosi frammenti di coppe e crateri attici di importazione associati alle ceramiche di uso comune, sia quelle proprie del repertorio golasecchiano, sia quelle, assai numerose, del tipo etrusco-padano. I materiali di questa fase sono indicatori della sua vitalità economica e culturale e di una nuova organizzazione degli spazi abitati, precursore del modello urbano.
Tra i vasi greci di importazione prevalgono le forme legate alla funzione del banchetto ed in particolare al consumo del vino: coppe, crateri, skyphoi. Le ceramiche etrusco-padane sono del tipo fine, a superficie lucidata, olle, ciotole, vasi “a fruttiera”, o del tipo grossolano, ciotole, olle e mortai. La ceramica di tradizione golasecchiana comprende olle e mortai ma anche piccole coppe e bicchieri.
L’abitato cenomane fino alla romanizzazione (IV-I secolo a.C.)
Le fonti storiche romane assegnano a Brescia il ruolo di capitale delle tribù celtiche cenomani, insediate nella pianura tra l’Oglio e l’Adige fino a Mantova e Verona a partire dal IV secolo a.C. (in vicos cenomanorum Brixiamque quod caput gentis erat, Liv. XXXII, 30). Tali popolazioni avevano stabilito progressivamente con Roma rapporti pacifici che portarono, fra Il e I secolo a.C., ad un graduale ma profondo processo di integrazione.
L’evidenza archeologica relativa a questo periodo è in generale assai lacunosa a causa dei massicci interventi di riassetto che interessarono la città in età romana. Nel sito del Foro, quindi di piazza Labus, futuro centro della vita pubblica e religiosa della città romana, le trasformazioni edilizie furono estese e radicali.
Del villaggio celtico rimangono quindi in genere solo labili tracce riferite a buche di palo che rimandano a edifici poveri e in materiali deperibili. Le testimonianze della cultura materiale sono in particolare un tipo di vasellame a impasto molto depurato, con ciotole ad orlo rientrante, e olle da cucina in ceramica grezza con decorazioni a impressioni, tacche e unghiate.
Dal II secolo a.C. si registra la presenza di materiali tipicamente romani, e del vasellame fine da mensa in ceramica a vernice nera, progressivamente imitato localmente.
Il sito nella prima età imperiale (fine del I secolo a.C. – età flavia): la Basilica
La Basilica romana è ancora oggi riconoscibile nel prospetto nord delle case di piazza Labus. Fu realizzato in età flavia, in opera quadrata, con paramento a blocchi parallelepipedi regolari in pietra di Botticino. Chiudeva a sud la piazza del Foro ed era dedicato agli scambi commerciali e all’amministrazione della giustizia.
I lati lunghi erano scanditi da dodici finestroni tra paraste corinzie e da sei portali. L’interno era costituito da un’aula rettangolare unica, ampia 47,80 x 19,10 m, priva di peristasi, delimitata dai perimetrali che comunicavano direttamente con portici sui quattro lati. La pavimentazione era in grandi lastre in marmo grigio-azzurro (lunense) e bianco (pentelico o pario) disposte secondo un modulo quadrangolare. Un quadrato centrale grigio circondato da una fascia di lastre bianche, fascia grigia all’esterno con elementi angolari in marmo bianco. Lo stesso motivo decorativo era presente nella pavimentazione esterna intorno alla basilica, con i colori però invertiti, bianco all’interno e grigio all’esterno.
Di estremo interesse è il rinvenimento di un’iscrizione onoraria, reimpiegata nel Medioevo come soglia, posta per celebrare Nonio Macrino, ricordato come patrono della città. L’epigrafe era probabilmente collocata all’interno dell’edificio, per commemorare forse un’azione evergetica di questo personaggio. Si tratta di una potente famiglia che a partire dal II secolo d.C. dominò la vita bresciana, ricoprendo posizioni di grande prestigio nell’amministrazione dell’Impero.
Nelle lacune dovute all’asportazione in epoca medievale delle lastre del pavimento flavio, è emersa una prima e più antica struttura relativa al Foro di età augustea. Si tratta di un lastricato limitato a sud da plinti quadrangolari in pietra tenera veronese, su cui poggiavano le colonne o i pilastri di un probabile portico.
Abbandono e distruzione della Basilica romana di Brescia: il sito tra V. e VII secolo d.C.
Con l’abbandono della città romana a partire dal V secolo d.C. anche la Basilica, persa la sua funzione, viene spogliata dei rivestimenti marmorei e lapidei. L’edificio resta tuttavia integro nella sua struttura esterna fino all’VIII secolo.
Buche per l’alloggio di pali in legno nei pavimenti, murature, scarichi di focolari e fosse per rifiuti documentano la frequentazione sporadica dell’edificio in età longobarda. Si rileva inoltre la progressiva trasformazione degli spazi circostanti e interni della basilica in aree di pascolo e di coltura a orti e campi.
I materiali che documentano questa fase sono frammenti di olle e catini-coperchio in ceramica comune, di boccali in ceramica decorata a stra-lucido, fusarole e vaghi di collana in ceramica comune o invetriata.
Il sito in età carolingia e la prima riorganizzazione dell’area (VIII-X secolo d.C.)
Una nuova destinazione d’uso si registra in epoca carolingia, quando l’area viene occupata da un piccolo cimitero. Il nucleo della necropoli, interno all’edificio, è composto da cinque sepolture ad inumazione, relative a un uomo, una donna, un adolescente e due bambini. Le analisi paleopatologiche sugli scheletri indicano la presenza di malformazioni ossee dovute a carenze nutrizionali e a lavori usuranti. L’adulto di sesso maschile indossava una cintura con preziosa fibbia in bronzo dorato lavorato ad intaglio con il muso di un quadrupede e un uccellino. L’ornamento, molto raro in Italia, si data fra VIII e IX secolo. La presenza isolata nell’area di altri oggetti tipici dei corredi funerari longobardi, un coltellino in ferro, un puntalino di cintura in bronzo, potrebbe indicare lo sporadico utilizzo funerario dell’area già a partire dall’epoca longobarda.
La sistematica riorganizzazione edilizia del sito riprende solo a partire dal IX o X secolo. Vengono costruiti edifici in muratura in parte addossati alla facciata interna ed esterna della Basilica, in parte posti lungo il vicolo che la attraversava lasciandone libero l’accesso a sud.
Le costruzioni, in solide murature in pietra e laterizi, riutilizzavano numerosi elementi lapidei romani. Erano abitazioni private con annessi piccoli laboratori artigianali, composte da almeno due vani e divise da pareti lignee. Gli oggetti ritrovati fra i focolari e gli strati di preparazione e uso degli edifici, datati tra l’VIII e XI secolo, sono infatti da riferire ad attività artigianali e di cucina: mortai, pentole, coperchi, chiavi, crogioli. Tra i materiali reimpiegati si segnalano una colonnina decorata a rilievo e l’epigrafe onoraria con dedica a Nonio Macrino, riutilizzata come soglia.
Una casa torre (XI-XII secolo)
Intorno all’XI secolo all’interno della Basilica sorgono due edifici divisi dallo stretto vicolo centrale. Le murature a masselli disposti su corsi regolari trovano analogie con le tecniche edilizie utilizzate in altre residenze signorili o edifici religiosi della città, come ad esempio il Duomo Vecchio, costruito tra XI e XII secolo.
Trasformazioni più significative interessano la facciata meridionale dove, rispettando il tracciato viario in uso, viene costruita una casa torre, esempio di edilizia di rango dell’epoca. Gli strati d’uso relativi alla torre hanno restituito cardini di porte, una chiave e molti frammenti di ceramica da fuoco e da cucina fra cui anche un fornetto portatile.
Di particolare interesse alcuni bolli di fabbrica incompleti, impressi sulla superficie interna di frammenti di catini-coperchio da fuoco. In due esemplari si riconosce la facciata stilizzata di un edificio, forse una chiesa. L’immagine si ritrova in alcune raffigurazioni di Brescia nel tardo medioevo e potrebbe ricondurre alla “firma” di una officina ceramica locale.
Il Palazzo d’Ercole (dominazione veneta: 1426-1797)
Solo in questo periodo viene data impostazione unitaria agli edifici che in età medievale erano sorti sui resti della Basilica. Un nuovo fabbricato, inserito lungo il lato settentrionale di piazzetta del Beveratore, l’attuale piazzetta Labus, è descritto dall’erudito bresciano Ottavio Rossi alla fine del Seicento. L’edificio era chiamato comunemente Palazzo d’Ercole e nel suo prospetto erano ancora ben riconoscibili le decorazioni della basilica romana: “quella fabrica, che ‘l volgo chiama il Palazzo d’Ercole sù la piazzetta del Beveratore: Opera fabricata con isquisita pazienza d’intaglio, d’ordine corinthio anch’essa, ma strauagante: percioche le cornici de i finestroni ricoprono co i loro capi le pilastrate…”.
Le dimensioni ridotte degli ambienti interni, l’assenza di cornici decorative alle finestre e al portone di ingresso fanno ipotizzare la destinazione del palazzo a residenza della piccola e media borghesia cittadina.
Le indagini archeologiche datano a questo momento la costruzione di una grande cisterna interrata e di condotti per le acque bianche e fognarie.
Dagli strati di macerie e livellamento che interrano la cisterna e dagli scassi per la costruzione di un nuovo vano cantinato proviene un nucleo di vasellame in ceramica. Vi si trovano rappresentate tutte le classi rivestite e decorate più diffuse in Lombardia tra la fine del XV e il XVII secolo: pentole, boccali, stoviglie da tavola, piatti e brocche. Due mattonelle in terracotta con decorazione a fiori sono riferibili ai soffitti dei piani superiori.
Tra Ottocento e Novecento
L’assetto di piazza del Beveratore e dell’edificio, con la facciata della basilica romana inserita nel suo prospetto settentrionale, rimase immutato fino ai giorni nostri, come rappresentato dal pittore Luigi Basiletti a metà dell’Ottocento.
Furono i primi scavi archeologici del sito, con Giovanni Labus nel 1823-1826, e poi alla fine del secolo, a trasformare la piazza e ridenominarla.
Per riportare alla luce il prospetto esterno della Basilica venne scavata una trincea appena a ridosso della fontana del Beveratore, rimuovendo una vasca più bassa.
Il piano interrato del palazzo, acquisito al Demanio dello Stato e diventato sede della Soprintendenza per i Beni Archeologici, è stato indagato nel 1993-1998. Questi hanno documentato gli interventi di consolidamento connessi agli scavi ottocenteschi, la costruzione di un ambiente cantinato, l’inserimento di arconi di rinforzo, oltre alla posa di strutture di servizio funzionali all’utilizzo dello stabile.
Nel corso dei lavori di restauro degli ambienti ai piani superiori sono emerse modeste decorazioni pittoriche databili all’Ottocento e agli inizi del Novecento. Allo stesso periodo sono da riferire frammenti del rivestimento in terracotta di una stufa e vasellame in maiolica di provenienza veneta.